Forse è il caso
Inviato: giovedì 19 settembre 2024, 15:31
Di rivedere (o vedere) Olmi.
Mi ha chiamato un'amico che l'altra sera l'ha visto in onda, e in maniera affetuosa nonchè nostalgica ho ricordato i suoi titoli.
Quanti valori potrebbero dare a chi l'epoca non l'ha vissuta!
A partire dal tempo si è fermato per giungere all'Albero degli Zoccoli (dell'altra sera) per me si compie tutta la magia del regista.
Io ho molto apprezzato anche Durante L'estate
In ogni caso vi lascio con due righe su l'Albero che celebra il mondo contadino con toni da affresco, storico e di costume. La finezza con cui Olmi rievoca il mondo delle campagne ottocentesche (servendosi di ambienti naturali, di attori non professionisti, del dialetto, di una colonna sonora infarcita di musica popolare) si mescola alla commozzione, quando descrive la miseria e i soprusi patiti, e alla nostalgia quando indugia sulle piccole gioie e sulla grande umanità di quella gente, che sopportava con cristiana rassegnazione senza mai tradire la propria etica; le immagini patetiche e dolenti di uomini e donne, vecchi e bambini, curvi sul lavoro dal mattino alla sera, capaci di far fronte a catastrofi crudeli e immeritate, animati da una prodigiosa forza morale, confortati da un forte senso di solidarietà e avvinti al valore universale dei sentimenti, suscitano emozioni semplici e buone, ma invitano anche a riflettere sul significato dell'esistenza umana e a confrontarsi con il passato. Nonostante la cruda documentazione dei disagi, dei sacrifici, della fatica e delle amarezze, di ogni giorno, Olmi riesce a far rimpiangere questa civiltà remota, dove i rapporti fra le persone erano più naturali e l'individuo poteva coricarsi ogni sera con la coscienza tranquilla, senza residui di nevrosi o alienazione da smaltire. L'Albero degli Zoccoli è un ricordo affettuoso, una favola per bambini, un presepe umano; ma è anche un documentario del passato, una fotografia d'epoca, un quadretto familiare; ed è anche un acuto film-inchiesta, una ricognizione antropologica e sociologica, uno scavo archeologico che riporta alla luce con infinita cura reperti di una civiltà scomparsa; è infine il sommesso lamento funebre per un mondo in via di estinzione; lo struggente rammarico per qualcosa che non sarà mai più; ed è ancora una modesta apologia della saggezza popolare, fatta di superstizioni e di proverbi, ma quanto più solida della scienza tecnologica. Il modello è Flaherty: tre ore di panegirico naturalista, poesia dell'intensa, solenne oratoria e naïvitè trascendente. Olmi continua a non volersi domandare il perchè delle cose, a declinare ogni responsabilità, a rifiutare l'analisi sociopolitica degli eventi, a rifugiarsi nel bozzettismo, nel film per aneddoti, nella retorica parrocchiale; è questa la sua forza: l'essere in prima persona uno di quei contadini. Predicatore francescano dell'innocenza degli umili, Olmi propone un cinema non politico, ma morale, al quale non importa smascherare le infami crudeltà dei potenti ma portare ad esempio la ferma, per quanto assurda e ridicola, sopportazione degli umili.
Mi ha chiamato un'amico che l'altra sera l'ha visto in onda, e in maniera affetuosa nonchè nostalgica ho ricordato i suoi titoli.
Quanti valori potrebbero dare a chi l'epoca non l'ha vissuta!
A partire dal tempo si è fermato per giungere all'Albero degli Zoccoli (dell'altra sera) per me si compie tutta la magia del regista.
Io ho molto apprezzato anche Durante L'estate
In ogni caso vi lascio con due righe su l'Albero che celebra il mondo contadino con toni da affresco, storico e di costume. La finezza con cui Olmi rievoca il mondo delle campagne ottocentesche (servendosi di ambienti naturali, di attori non professionisti, del dialetto, di una colonna sonora infarcita di musica popolare) si mescola alla commozzione, quando descrive la miseria e i soprusi patiti, e alla nostalgia quando indugia sulle piccole gioie e sulla grande umanità di quella gente, che sopportava con cristiana rassegnazione senza mai tradire la propria etica; le immagini patetiche e dolenti di uomini e donne, vecchi e bambini, curvi sul lavoro dal mattino alla sera, capaci di far fronte a catastrofi crudeli e immeritate, animati da una prodigiosa forza morale, confortati da un forte senso di solidarietà e avvinti al valore universale dei sentimenti, suscitano emozioni semplici e buone, ma invitano anche a riflettere sul significato dell'esistenza umana e a confrontarsi con il passato. Nonostante la cruda documentazione dei disagi, dei sacrifici, della fatica e delle amarezze, di ogni giorno, Olmi riesce a far rimpiangere questa civiltà remota, dove i rapporti fra le persone erano più naturali e l'individuo poteva coricarsi ogni sera con la coscienza tranquilla, senza residui di nevrosi o alienazione da smaltire. L'Albero degli Zoccoli è un ricordo affettuoso, una favola per bambini, un presepe umano; ma è anche un documentario del passato, una fotografia d'epoca, un quadretto familiare; ed è anche un acuto film-inchiesta, una ricognizione antropologica e sociologica, uno scavo archeologico che riporta alla luce con infinita cura reperti di una civiltà scomparsa; è infine il sommesso lamento funebre per un mondo in via di estinzione; lo struggente rammarico per qualcosa che non sarà mai più; ed è ancora una modesta apologia della saggezza popolare, fatta di superstizioni e di proverbi, ma quanto più solida della scienza tecnologica. Il modello è Flaherty: tre ore di panegirico naturalista, poesia dell'intensa, solenne oratoria e naïvitè trascendente. Olmi continua a non volersi domandare il perchè delle cose, a declinare ogni responsabilità, a rifiutare l'analisi sociopolitica degli eventi, a rifugiarsi nel bozzettismo, nel film per aneddoti, nella retorica parrocchiale; è questa la sua forza: l'essere in prima persona uno di quei contadini. Predicatore francescano dell'innocenza degli umili, Olmi propone un cinema non politico, ma morale, al quale non importa smascherare le infami crudeltà dei potenti ma portare ad esempio la ferma, per quanto assurda e ridicola, sopportazione degli umili.