Democrazia e partecipazione
Inviato: mercoledì 5 febbraio 2025, 5:15
Se ne parla spesso nei telegiornali, sotto elezioni, poi nulla. Le lamentele invece, non si fermano.
Negli ultimi anni, l'affluenza alle urne in Italia è progressivamente calata, raggiungendo il minimo storico nelle elezioni politiche del 25 settembre 2022. Secondo i dati ufficiali del Senato della Repubblica, su 46 milioni di aventi diritto, ha votato solo il 63,9%. Considerando che il partito più votato, Fratelli d’Italia, ha ottenuto circa il 26% dei voti validi, significa che solo il 16,6% degli aventi diritto ha effettivamente scelto il partito di maggioranza relativa. Se allarghiamo la prospettiva all’intera popolazione italiana (circa 60 milioni di persone), questa percentuale si riduce ulteriormente.
A questo punto sorge una domanda: possiamo ancora parlare di espressione della maggioranza in un sistema in cui meno di un cittadino su cinque ha effettivamente scelto il governo in carica? O stiamo scivolando verso una democrazia "formale", dove pochi decidono per tutti?
Se la democrazia è il governo della maggioranza, la progressiva disaffezione al voto riduce sempre più il principio di rappresentatività. Il problema non è solo formale, ma sostanziale: un sistema in cui sempre meno persone partecipano è più vulnerabile a derive oligarchiche, perché il potere effettivo finisce nelle mani di una minoranza sempre più ristretta e organizzata.
Alcuni Paesi, come il Belgio, hanno adottato l'obbligo di voto, con sanzioni per chi non si presenta alle urne. Il risultato è un’affluenza costantemente superiore all’85% e una maggiore rappresentatività del voto popolare.
L’idea di rendere il voto obbligatorio è spesso criticata con l’argomento che molte persone voterebbero senza informarsi, peggiorando la qualità delle scelte elettorali. Ma è davvero così?
La realtà è che il problema dell’elettore poco informato esiste già. Non è affatto garantito che chi vota oggi lo faccia con piena consapevolezza. Al contrario, la cultura politica attuale è spesso basata su emozioni, propaganda o tradizioni familiari più che su un reale approfondimento dei programmi politici.
L’obbligo di voto potrebbe invece essere visto come un primo passo verso un’evoluzione generazionale, in cui la partecipazione diventa parte integrante della coscienza civica. Inizialmente, chi è obbligato a votare potrebbe farlo senza grande consapevolezza, ma col tempo la partecipazione forzata potrebbe innescare un processo di maturazione democratica.
Nel corso della storia, molte norme imposte sono poi diventate prassi condivise: dall'istruzione obbligatoria alle cinture di sicurezza, l’imposizione iniziale ha spesso portato a un cambiamento culturale. Perché non dovrebbe accadere lo stesso con il voto?
L’altra grande critica al voto obbligatorio è che limiterebbe la libertà individuale. Ma in una democrazia, la libertà non è solo un diritto individuale, è anche un dovere collettivo. Se vogliamo beneficiare di un sistema democratico, dobbiamo anche contribuire al suo funzionamento.
L’esempio della galea aiuta a comprendere il concetto:
Se tutti remano, la nave avanza con equità e sforzo condiviso.
Se alcuni smettono di remare, gli altri devono faticare di più per mantenere la rotta.
Se troppi smettono, la nave va alla deriva.
Ma chi non rema gode comunque del viaggio e della protezione della flotta.
Allora, la domanda diventa: chi ha il diritto di beneficiare della democrazia senza parteciparvi?
Se si accetta che la democrazia è un sistema di appartenenza collettiva e non solo un’opzione personale, ha senso considerare il voto obbligatorio non come una forzatura, ma come un meccanismo di responsabilizzazione civile.
Cosa ne pensate? Il voto obbligatorio potrebbe migliorare la qualità della democrazia in Italia, oppure sarebbe una misura coercitiva che non risolve i problemi alla radice? Soprattutto, avete altri punti di vista da aggiungere alla discussione?
"Un uomo che non si interessa dello Stato non lo considero innocuo, ma inutile." Pericle.
Negli ultimi anni, l'affluenza alle urne in Italia è progressivamente calata, raggiungendo il minimo storico nelle elezioni politiche del 25 settembre 2022. Secondo i dati ufficiali del Senato della Repubblica, su 46 milioni di aventi diritto, ha votato solo il 63,9%. Considerando che il partito più votato, Fratelli d’Italia, ha ottenuto circa il 26% dei voti validi, significa che solo il 16,6% degli aventi diritto ha effettivamente scelto il partito di maggioranza relativa. Se allarghiamo la prospettiva all’intera popolazione italiana (circa 60 milioni di persone), questa percentuale si riduce ulteriormente.
A questo punto sorge una domanda: possiamo ancora parlare di espressione della maggioranza in un sistema in cui meno di un cittadino su cinque ha effettivamente scelto il governo in carica? O stiamo scivolando verso una democrazia "formale", dove pochi decidono per tutti?
Se la democrazia è il governo della maggioranza, la progressiva disaffezione al voto riduce sempre più il principio di rappresentatività. Il problema non è solo formale, ma sostanziale: un sistema in cui sempre meno persone partecipano è più vulnerabile a derive oligarchiche, perché il potere effettivo finisce nelle mani di una minoranza sempre più ristretta e organizzata.
Alcuni Paesi, come il Belgio, hanno adottato l'obbligo di voto, con sanzioni per chi non si presenta alle urne. Il risultato è un’affluenza costantemente superiore all’85% e una maggiore rappresentatività del voto popolare.
L’idea di rendere il voto obbligatorio è spesso criticata con l’argomento che molte persone voterebbero senza informarsi, peggiorando la qualità delle scelte elettorali. Ma è davvero così?
La realtà è che il problema dell’elettore poco informato esiste già. Non è affatto garantito che chi vota oggi lo faccia con piena consapevolezza. Al contrario, la cultura politica attuale è spesso basata su emozioni, propaganda o tradizioni familiari più che su un reale approfondimento dei programmi politici.
L’obbligo di voto potrebbe invece essere visto come un primo passo verso un’evoluzione generazionale, in cui la partecipazione diventa parte integrante della coscienza civica. Inizialmente, chi è obbligato a votare potrebbe farlo senza grande consapevolezza, ma col tempo la partecipazione forzata potrebbe innescare un processo di maturazione democratica.
Nel corso della storia, molte norme imposte sono poi diventate prassi condivise: dall'istruzione obbligatoria alle cinture di sicurezza, l’imposizione iniziale ha spesso portato a un cambiamento culturale. Perché non dovrebbe accadere lo stesso con il voto?
L’altra grande critica al voto obbligatorio è che limiterebbe la libertà individuale. Ma in una democrazia, la libertà non è solo un diritto individuale, è anche un dovere collettivo. Se vogliamo beneficiare di un sistema democratico, dobbiamo anche contribuire al suo funzionamento.
L’esempio della galea aiuta a comprendere il concetto:
Se tutti remano, la nave avanza con equità e sforzo condiviso.
Se alcuni smettono di remare, gli altri devono faticare di più per mantenere la rotta.
Se troppi smettono, la nave va alla deriva.
Ma chi non rema gode comunque del viaggio e della protezione della flotta.
Allora, la domanda diventa: chi ha il diritto di beneficiare della democrazia senza parteciparvi?
Se si accetta che la democrazia è un sistema di appartenenza collettiva e non solo un’opzione personale, ha senso considerare il voto obbligatorio non come una forzatura, ma come un meccanismo di responsabilizzazione civile.
Cosa ne pensate? Il voto obbligatorio potrebbe migliorare la qualità della democrazia in Italia, oppure sarebbe una misura coercitiva che non risolve i problemi alla radice? Soprattutto, avete altri punti di vista da aggiungere alla discussione?
"Un uomo che non si interessa dello Stato non lo considero innocuo, ma inutile." Pericle.